Negli ultimi decenni la ricerca scientifica in ambito sportivo ha permesso di fare “balzi da gigante” per quanto riguarda l’allenamento e lo sviluppo della forza nei giovani atleti.
Ad oggi abbiamo a disposizione numerosi studi, che confermano come sia cruciale (sia per il benessere che per la performance) sviluppare alti livelli di forza, soprattutto con metodiche che prevedono l’utilizzo di resistenze esterne, cioè i pesi.
Nonostante ciò, si fa ancora molta difficoltà ad accettare questa realtà, soprattutto nel nostro Paese, dove l’utilizzo di un sovraccarico per allenare un giovane atleta è un fenomeno raro e molto spesso “demonizzato”.
Non è strano infatti, incontrare tecnici che sostengono la pericolosità di usare manubri e bilancieri con i ragazzi, perché farlo significherebbe creare squilibri, blocchi della crescita, rotture di tendini, articolazioni e chi più ne ha più ne metta.
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Dove nascono queste credenze?
Il karate fa la sua comparsa in Italia nella seconda metà del 900, periodo storico in cui non esistevano le Scienze motorie come le conosciamo oggi.
Gli insegnanti che portavano avanti la disciplina nella maggior parte dei casi erano persone appassionate e volenterose di diffonderla, ma non esperti di scienze del movimento e dello sport.
Inoltre i mezzi di informazione non erano sviluppati come quelli odierni, di conseguenza le prime ricerche e studi sul corpo umano e sul suo funzionamento durante l’esercizio fisico non erano facilmente reperibili.
A causa di questa scarsa accessibilità alle fonti scientifiche, presero sempre più piede nel mondo sportivo (come nel karate), falsi miti e credenze ancora ben radicate e difficili da estirpare, nonostante l’estrema facilità con cui oggi è possibile reperire studi e ricerche grazie a internet.
Entrando ora in quello che è il tema di questo articolo, iniziamo con il capire cos’è un carico.
Definiamo il carico di allenamento come “la misura del lavoro che l’atleta deve effettuare per indurre gli adattamenti necessari all’incremento della prestazione”.

Questo è suddiviso in carico esterno ed interno: il primo è l’insieme degli stimoli che possiamo sottoporre al corpo (es. un peso), quello interno invece è la risposta del nostro corpo al carico esterno, che viene espresso sotto forma di adattamento.
Concentrandoci su quello esterno, esso viene utilizzato facendo riferimento ai cosiddetti “principi del carico”: intensità, volume, frequenza, durata, densità.
La corretta manipolazione di questi principi/parametri, consente di ottenere prestazioni sportive di alto livello. È di fondamentale importanza capire che tutte le discipline sportive sono governate da questi principi, sia che si utilizzino sovraccarichi esterni (sollevamento pesi olimpico, getto del peso) sia che si utilizzi semplicemente il proprio corpo.
Inoltre bisogna precisare che un carico esterno può essere anche il nostro stesso peso corporeo.
Quando eseguiamo un piegamento sulle braccia noi spostiamo l’equivalente nel nostro peso da un punto all’altro, e quando facciamo ciò il nostro organismo non è in grado di distinguere se si sta utilizzando un macchinario, un bilanciere o il proprio peso, ma avverte uno stimolo a cui deve rispondere.
Il problema degli infortuni esiste, ma non è da attribuire alla metodica che si applica, ma bensì ad una scorretta esecuzione tecnica e da un inappropriato carico proposto (magari eccessivo per il corpo).
Con questo diventa chiaro che è possibile infortunarsi allo stesso modo sia eseguendo una distensione su panca che facendo un “semplice” piegamento sulle braccia.
Inoltre, l’allenamento contro resistenze in moltissimi Stati è visto come “una modalità di allenamento accettabile e sicura per bambini e adolescenti con effetti positivi sulla salute, l’abilità psico-sociale, il benessere e la riduzione della gravità e dell’incidenza degli infortuni.”
Da qui si può dedurre come sia fondamentale l’utilizzo di sovraccarichi anche nei programmi di preparazione atletica in giovane età.

Cosa dice la scienza in merito
È appurato che in qualsiasi disciplina sportiva la componente essenziale e che si rivela decisiva ai fini prestativi è la potenza data da: Forza x Velocità.
Soffermandosi sulla forza, sappiamo che è “la capacità del sistema neuromuscolare di produrre tensioni in opposizione a resistenze esterne”.
Tra i vari metodi per incrementarla il più utilizzato e studiato è quello con i sovraccarichi.
In una meta analisi del 2011 si evidenzia come programmi strutturati in questo modo “migliorano significativamente la corsa, il salto e le prestazioni di lancio nei bambini e negli adolescenti”.
Inoltre emerge un altro aspetto “chiave”, cioè quello di ottenere dei transfer positivi sulla prestazione specifica dello sport praticato, ma non solo.
Volendo ritornare alla problematica degli infortuni, si sottolinea come l’allenamento contro resistenze fatto in modo coscienzioso e supervisionato da personale preparato, riduce il rischio di infortuni del 66%, minimizzando quelli che sono gli scompensi muscolari dovuti a iper-specializzazione precoce.
Quindi, perché nel karate (ma anche in altri sport) si continua a non voler utilizzare i sovraccarichi nella preparazione atletica di un giovane?
Bisogna uscire da quella mentalità basata su credenze e opinioni personali che ci rendono solo “chiusi” mentalmente. È essenziale aprirsi al progresso e alle conoscenze basate su dati accertati per permettere ai ragazzi di poter diventare dei grandi atleti, ma soprattutto per garantire loro la possibilità di allenarsi e divertirsi sempre in sicurezza.
Sono perfettamente d’accordo e condivido in toto
Grazie mille Giuseppe!
Condivido pienamente l’articolo,
Pratico karate da ormai 50 anni e sono un maestro 5°dan Fijlkam , vi posso assicurare che ci sono ancora molti tecnici che se parli di pesi negli allenamenti di karate ti dicono dicono che sono controproducenti