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Ahmed El Sharaby – Karate Talks #41

Assieme ad Ahmed El Sharaby scopriamo come ha vissuto i momenti sul tatami assieme ai compagni della squadra di Kumite, ai Mondiali di Dubai 2021!

Guarda, ascolta o leggi l’intervista ad Ahmed El Sharaby! Scopri le emozioni vissute sul tatami dei Mondiali di Dubai 2021:

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Trascrizione a cura di Chiara Casotto.

Alessio Sorrentino: Bentornati amici di Karateka.it e benvenuto Ahmed El Sharaby, come stai? Iniziamo con la domanda di rito: raccontaci qualcosa che i più non sanno di te.

Ahmed El Sharaby: Qualcosa che pochi sanno di me è che non sono solo un atleta professionista (e abbiamo portato questo risultato storico), ma sono anche un pizzaiolo. Faccio la pizza e me la mangio anche!

AS: Visto che hai toccato l’argomento, io prendo la palla al balzo! Il risultato storico che  avete raggiunto con la squadra ai Mondiali: la vittoria che noi abbiamo seguito da vicino sia sui social, sia poi con le interviste che abbiamo fatto anche con Savio, per esempio, che ci ha raccontato la sua visione da tecnico. Raccontaci  un po’ com’è stato il tuo Mondiale.

AES: Abbiamo vissuto all’inizio con un po’ di tensione e poi forse con un po’ d’incoscienza. Siamo stati lì, piano piano e abbiamo vissuto incontro dopo incontro perché non pensavamo subito alla finale, abbiamo pensato a superare il primo incontro con il Brasile e siamo poi arrivati al secondo contro Kosovo. Li abbiamo affrontati uno per uno, pensando solo a chi avevamo di fronte. 

Abbiamo incontrato il Kazakistan che è una squadra fortissima (diventata anche campione dell’Asia) e poi la Turchia che era la squadra favorita del Mondiale, una delle più forti  ed erano in formissima (e che aveva appena battuto l’Egitto). L’abbiamo incontrata noi e abbiamo fatto una grandissima semifinale: mi hanno buttato subito per primo, il kamikaze della squadra!

In semifinale c’era un clima più sereno rispetto alle eliminatorie anche se avrebbe dovuto essere il contrario. E invece no, noi ci siamo messi e lì a scherzare e a ridere di fronte ai turchi che ci guardavano tutti cattivi e noi che non riuscivamo stare seri ci siamo messi a ridere (ma non ridere in faccia, eh!) abbiamo cominciato a scherzare e a parlare di cose nostre, a fare esempi, a giocherellare. Solo così siamo entrati contro la Turchia serenissimi e abbiamo detto: “Ragazzi andiamo a conquistare questa bella finale!”, ci siamo guardati negli occhi, eravamo tutti pronti e siamo entrati veramente convinti di vincere!

La finale poi è stata un’altra gara. I serbi erano altissimi e strutturalmente parevano una squadra di pallavolo, però tecnicamente noi eravamo molto superiori e infatti lì abbiamo fatto la differenza.

AS: Quello che mi colpisce delle tue parole è proprio questa ansia decrescente che, solitamente quando si vede il risultato arrivare si tende un po’ a irrigidirsi, e forse è stato proprio questo il vostro segreto: perché sicuramente arrivare sciolti invece che tesi come una corda di violino è un qualcosa che certamente aiuta. C’è stato un momento in cui avete vissuto con consapevolezza il risultato, oppure è stato proprio questo “allontanarlo” che vi ha portato fino alla fine?

AES: Noi dopo la semifinale stavamo già festeggiando. C’era un giorno di riposo prima della finale e già alla sera, tornando verso l’albergo eravamo contenti e siamo stati tutti insieme. Essere un gruppo unito, secondo me ha fatto la differenza. Dopo la semifinale abbiamo realizzato che avremmo potuto scrivere la storia: mancava poco, mancava solo un incontro. Ci siamo guardati e ci siamo detti che ce la potevamo fare. Ne eravamo consapevoli perché avevamo fatto delle bellissime eliminatorie e serviva soltanto portare a casa la finale e non ce n’era per nessuno!

AS: C’è Luca Maresca che dice che ti aspettano al sushi!

Parliamo invece della tua preparazione fisica, alimentare e mentale. Come si svolge una tua routine di allenamento? Ti concentri sulla parte fisica e mentale e la dieta la fai personalmente, o hai qualcuno che ti segue in ogni settore? È un qualcosa che ci piace sempre esplorare perché è molto bello per noi e per il nostro pubblico vedere come dei professionisti si allenano, anche in maniera diversa perché abbiamo scoperto che ognuno ha suo metodo.

AES: Dovevamo andare a cena tutti insieme stasera! Tra l’altro noi ci siamo dati dei soprannomi e Luca è Il Mamba Nero

Io come preparatore atletico ho un grande amico, Andrea Bartolomei, che mi segue al cento per cento la preparazione atletica e fisica e mi dà anche qualche consiglio nutrizionale perché io mi faccio sempre prendere dai dolci, dagli stuzzichini da aperitivo e quant’altro. Invece per il Karate e per la tecnica in sé mi alleno col mio maestro, Emanuele Baldassarri. Facciamo la programmazione in base alla gara prestabilita: magari punto tutto sul Campionato Italiano e se c’è di mezzo qualche altra gara può succedere che magari mi presento lì che non sono al massimo della forma ma questo è per poi arrivare alla data prestabilita al top.

Facciamo un lavoro di forza, la trasformiamo in forza esplosiva e lavoriamo sulla forza rapida e magari prima della prima della gara facciamo un altro richiamo di forza; c’è tutto un programma dietro che comunque è importante. Prima non ci facevo caso perché dicevo: “Ma che me frega? Io mi alleno facendo pesi e andando a correre, tanto fisicamente sono forte” però la preparazione atletica serve tantissimo, la differenza la senti subito e quindi la consiglio a tutti una programmazione atletica con un bravo preparatore.

AS: Quindi questo ti ha aiutato anche proprio livello di performance?

AES: Esatto! Perché tu la tecnica puoi anche stare lì e farla perfettamente, farla mille volte al giorno ma poi non diventi più veloce, per aumentare la velocità devi aumentare la forza che poi dopo la forza va trasformata in forza rapida e veloce e quindi sono cose importanti. 

Poi c’è l’alimentazione. Io mangio pizza tutti i giorni e non è molto salutare, ma sotto gara ci faccio più attenzione.

AS: Ci manda un messaggio Luca e dice di essere in compagnia del Ghepardo, ma chi è ce lo sveli alla fine!

Sempre parlando di Karate, voglio farti una domanda che un po’ esula dal Kumite. Che rapporto hai (se ce l’hai mai avuto) con il Kata? È un qualcosa con cui ti sei approcciato, magari all’inizio della tua esperienza da karateka, qualcosa che ogni tanto ti capita di praticare o è qualcosa che per il momento hai posposto a un post carriera?

AES: Il Kata comunque sia ti forma. All’inizio della carriera sportiva l’atleta fa sia Kata, sia Kumite, perché per avere i gradi delle cinture e arrivare all’esame per la nera devi saper fare anche i Kata.

Io ho fatto i Kata all’inizio, ho anche fatto qualche gara però ero tutto storto, non andava bene. Il mio maestro mi diceva che ero forte ma io non passavo un turno nei Kata e andavo a vincere nel Kumite. Però è bello, è bello da vedere. È particolare, devi avere una passione per il Kata perché allenarti tutti i giorni, da solo e perfezionare tutti i minimi dettagli è particolarmente difficile e non è da tutti. Io impazzisco! Io devo avere qualcuno, devo scherzare, devo picchiare la gente, mi devo far picchiare, io non riesco a fare i Kata!

AS: Ok! Quindi se ti dovessi chiedere secondo te, visto che comunque sei a contatto anche con i ragazzi e le ragazze della Nazionale Kata, quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere per forza chi fa Kumite e quali, invece, non possono mancare a chi fa Kata?

AES: Nel Kumite io penso che le caratteristiche varino: come abbiamo avuto dei campioni nei pesi massimi alti un metro e cinquanta, come posso io dire che il prototipo del combattente deve essere slanciato e alto? Ognuno, poi, ha sue particolarità: abbiamo campioni nei pesi leggeri che sono altissimi e magari non è proprio il prototipo giusto. Quindi per il Kumite non me la sento di dare una linea guida. Per quanto riguarda il Kata invece devi essere strutturalmente non slanciato, col baricentro basso e fisicamente bisogna essere forti.

AS: Sono comunque delle caratteristiche che magari non diresti nemmeno, per chi fa Kata, di dover avere: tutta quella forza e tutta quella possanza fisica per trasmetterla, sembra quasi più una caratteristica da combattente di Kumite, quando in realtà, come ci stai dicendo, è fondamentale anche per chi fa Kata avere una struttura bella importante.

AES: Io mi sono affacciato al Karate in Egitto, quando ero piccolo. Nella mia palestra non esisteva il Kata, io mi sono messo subito i guantini e abbiamo iniziato subito col Kizami Yaku e io non sapevo proprio dell’esistenza dei Kata. Tu immaginati me che in Egitto mi alleno tantissimo e poi vengo qui, mi iscrivo in una palestra e mi chiedono se so fare i Kata. Lì sono rimasto un po’ indietro, perché il maestro voleva che li imparassi, anche per poter fare gli esami per il cambio cintura e le gare. Ho chiesto al maestro di iscrivermi al Campionato Regionale, il mio primo, quando avevo 17 anni (perché ho cominciato tardi, avevo 16 anni quando ho iniziato). Quella gara l’ho vinta e per merito sportivo mi hanno dato la cintura nera, quindi l’esame non l’ho fatto.

AS: Te la sei guadagnata però!

AES: Il maestro poi mi ha costretto a farlo lo stesso! Anche se avevo la cintura nera, in palestra non la potevo mettere perché non avevo fatto nessun esame, quindi ho dovuto recuperare.

AS: Prima di salutarci devi rivelarci chi è Il Ghepardo, non puoi lasciarci con questo dubbio!

AES: Eh! Il Ghepardo è Gianluca De Vivo. Poi abbiamo Il Falco che è Pietro Marchi, Il Coccodrillo che è Simone Marino, abbiamo Lo Stallone, che non si stanca mai: Michele Martina. Dal carattere di combattimento che ha ognuno, noi abbiamo associato un animale. Poi ti rivelerò anche il mio di animale.

AS: Un altro componente ci rivelerà il tuo alla prossima intervista! Con questo aneddoto super pazzesco e su cui ritornerò, io ti ringrazio per essere stato dei nostri!

 

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