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Il Kata JION: La tecnica misericordiosa del Lúohàn

Il kata Jion deriva dalle modifiche apportate nella scuola Shōtōkan all’omonima forma che troviamo in alcuni sistemi stilistici di Karate che si ispirano allo Shōrin-ryū di Okinawa.

Jion

L’assenza del kata JION da qualsiasi tradizione classica di Okinawa e l’analisi delle tecniche in esso contenute ci porta ad ipotizzare che Ankō Itosu l’abbia creato sintetizzando principalmente i movimenti presenti in Jitte e Ji’in in aggiunta a quelli presenti in qualche altra forma.

Inoltre, il fatto che tutti e tre i kata inizino con il nome Ji e che possiedano la stessa forma di saluto lascia pensare che Itosu abbia voluto realizzare tre forme-sorelle come aveva già fatto per il gruppo dei Naihanchi (Tekki) e dei Rōhai (presenti solo nello Shitō-ryū), dalla cui sintesi Gichin Funakoshi creò successivamente il kata Meikyō.

Le origini okinawensi del kata Jion

Il saluto iniziale comune ai tre kata monastici Jion, Jitte e Ji’in – il pugno destro racchiuso nel palmo della mano sinistra – identifica la provenienza cinese e, più specificatamente, la sua influenza buddista.

Riguardo la diffusione del monachesimo buddista nel principato di Ryūkyū, le testimonianze che vanno dal XV al XVI secolo – periodo che coincide con quello di maggiore splendore del regno – attestano che durante questa era vennero eretti quasi un centinaio di templi buddisti, allora considerati sullo stesso piano di quelli presenti a Kyōto, Nara e Nikkō.

A causa dell’esistenza di questi edifici, la tradizione riporta che diversi monaci giunsero nelle Ryūkyū e che si ritennero legittimati nel comunicare la conoscenza delle sacre scritture buddiste.

Di conseguenza è possibile che alcuni di loro abbiano lasciato traccia dei loro sistemi di combattimento anche se non sappiamo esattamente quali.

Ma dopo la conquista del clan giapponese dei Satsuma avvenuta all’inizio del XVII secolo e il conseguentemente impoverimento delle Ryūkyū, molti di questi templi caddero in rovina fino a scomparire definitivamente.

In merito alla diffusione del buddismo fra i nobili dell’arcipelago, invece, occorre osservare che mentre nel Giappone Centrale accadde che la filosofia Zen ebbe una profonda influenza sullo sviluppo delle arti marziali, altrettanto non capitò nella più confuciana Ryūkyū.

Infatti, a causa delle pesanti restrizioni socio-economiche imposte dal clan giapponese Satsuma, le classi nobiliari si impoverirono sempre di più e, comunque, non assimilarono sufficientemente la dottrina buddista.

Riguardo la più povera ed estesa classe dei contadini e dei pescatori, fino agli anni immediatamente vicini all’ultimo grande conflitto, invece, si riscontra una maggiore adesione alla religione animista.

Jion e il legame con i Kata Monastici

In merito all’origine dei cosiddettikata monastici’ giunti nell’odierno Karate, occorre evidenziare che l’unica testimonianza a riguardo ci proviene da G. Funakoshi.

Si tratta di un estratto dal secondo di una serie di tre articoli redatti sul quotidiano Ryūkyū Shinpō nel 1914, di cui il sottotitolo è “Ricordando le parole di Ankō Asato”.

Più esattamente, in questo secondo articolo intitolato Tōde no ryūgi (Stili di Karate), il futuro fondatore della scuola Shōtōkan riportò un’intervista ottenuta nel 1901 dal suo Maestro Ankō Asato (1827-1906). Ecco un estratto:

Un cinese del Fújiàn proveniente da Ānan che era naufragato ad Okinawa insegnò il (kata) Chintō a Gusukuma ed a Kanagusuku in Tomari. Lo stesso cinese del Fujian insegnò anche Chintē a Matsumora e ad Oyadomari, mentre Yamazato apprese Ji’in ed a Nakazato insegnò Jitte. Siccome era ansioso di ritornare a casa in Cina, l’insegnante di Ānan insegnò diversi kata (separatamente) a diversa gente”.1

Ecco svelata l’origine di quattro noti kata di Karate! Inoltre, Funakoshi ripetè quest’informazione anche nei suoi successivi libri, aggiungendo altri nomi a questa lista. Più esattamente, in Karate-dō Kyōhan affermò che:

Maestro di Gusukuma, Kanagusuku, Matsumora, Oyadomari, Yamada, Nakazato, Yamazato e Toguchi fu un cinese del sud che venne trascinato dalla corrente fino a Tomari”.2

La maggior parte di questi esperti nati nella prima metà dell’800 era stata introdotta all’arte del combattimento dai Maestri Giku Uku e Kishin Teruya, entrambi di Tomari.

Ma in seguito ai fatti descritti ed avvenuti verso la metà del XIX secolo, la tradizione orale afferma che il naufrago di Ānan venne accolto dalla gente del luogo e contraccambiò il favore, insegnando loro le basi del proprio metodo di combattimento ed alcune forme semplificate che vennero in breve tempo condivise all’interno di quel villaggio.

Una teoria più recente ed interessante a proposito dei tre kata monastici proviene dal ricercatore Fernando P. Câmara. Eccola:

Gusukuma fu un discepolo di Annan (…) e di Jion, un monaco buddista da cui proviene il kata con lo stesso nome. Si ritiene che Gusukuma abbia dato ad Itosu (…) la forma personale di questo, Jion, e due kata eseguiti con i sai: Jitte e Ji’in, che adattò come kata a mani nude”.3

Confesso che quando venni a conoscenza dell’ipotesi di Câmara ne rimasi affascinato.

Ma dopo averla analizzata con calma, nutrii vari dubbi a riguardo.

Mi spiego: a proposito della prima tesi, dove un monaco buddista chiamato Jion avrebbe insegnato una forma con il suo stesso nome a Gusukuma, è chiaro che Câmara ha estratto il nome di questo religioso dall’affermazione del Maestro Funakoshi nella sua opera Karate-dō Kyōhan che qui di seguito riporto:

“« No he cambiado este nombre.”Jion è il suo nome originale, e il suo carattere appare frequentemente nella letteratura cinese sin dai tempi antichi. El carácter chino Ji-on aparece en un viejoIl Jion-ji (慈恩寺) è un vecchio e famoso tempio buddista (寺), e là esiste anche un noto santo buddista chiamato Jion (慈恩). Il nome suggerisce che il kata sia stato introdotto da qualcuno identificato con il tempio di Jion, proprio come il nome di Shōrin-ji kenpō (少林寺拳法) deriva dalla sua connessione con il tempio di Shōrin (少林寺)”.4

Dalle parole di Funakoshi si evince che nemmeno il Maestro conosceva l’esatta origine di questo kata.

Dunque, la conclusione di Câmara riguardo l’identità di Jion mi pare azzardata, sebbene mi incuriosisca sapere come sia giunto a questa conclusione.

Dal canto mio, basando le mie indagini sulle affermazioni della Dr. Leslie M. Graham, il naufrago citato da Funakoshi era un monaco taoista chiamato Lau Leung ed Ānan (阿南) era un sobborgo di Fúzhōu.

Questa grande città è tuttora la capitale dell’attuale provincia cinese del Fújiàn, con la quale gli abitanti di Okinawa intrattenevano un importante accordo commerciale dalla fine del XIV secolo.5

Tornando all’ipotesi di Funakoshi che il kata potrebbe essere “stato introdotto da qualcuno identificato con il tempio di Jion”, il fatto che nessun storico del Karate abbia mai citato l’esistenza di un certo esperto chiamato con questo nome preclude l’ipotesi che Gusukuma possa aver ottenuto il kata Jion da un omonimo ed inconsistente personaggio, e che potrebbe conseguentemente averla trasmessa ad Itosu.

Sempre a proposito di questo nome, l’unica descrizione a riguardo proviene dal noto Maestro di Kobudō Masahiro Nakamoto, il quale ha affermato che “un altro nome di famiglia del nobile Chōken Makabe (1773-1829) di Shuri era Jion”.6 

Ma il fatto che in essa non sia ricordato alcun religioso ci allontana ulteriormente dall’ipotesi che un suo discendente possa coincidere con l’autore dell’omonimo kata.

Riguardo l’ipotesi di Câmara per la quale kata Jitte e Ji’in sarebbero stati originariamente eseguiti con una coppia di tridenti in metallo (in Okinawa chiamati sai), devo ammettere che alcune loro tecniche potrebbero essere tranquillamente eseguite con un paio di queste armi.

Sebbene non abbia ricevuto notizie a riguardo da Leslie Graham, ho comunque discusso l’argomento con l’esperto di Kobudō Andrea Guarelli e la sua conclusione è stata che non risulta registrato nella storia dell’isola alcun kata di Sai-jutsu (釵術) che possieda il nome di queste forme e tanto meno delle sequenze similari alle tecniche in esse contenute.

Concludendo sulla seconda ipotesi di Câmara, è altrettanto improbabile l’ipotesi che Itosu abbia modificato questi due kata ed adattati all’uso delle mani nude.

Al contrario, ritengo molto probabile che l’assenza di Jion da ognuna delle tre principali tradizioni marziali di Okinawa (Shuri-te, Tomari-te e Naha-te), unitamente all’analisi delle tecniche contenute in questo kata, evidenzia che Ankō Itosu potrebbe non solo aver creato questa forma dalla sintesi di Jitte e Ji’in, ma che avrebbe da un lato semplificato alcune tecniche di entrambi questi due kata e dall’altro registrate alcune loro applicazioni al suo interno.

Il kata Jion deriva dall’uso dei Tekko

Una diversa teoria sulle origini del kata Jion proviene da Tsukuo Iwai. A proposito delle sue ricerche, egli afferma che potrebbe discendere da una forma che utilizza i tekkō (手甲), una sorta di tirapugni di ferro di Okinawa ottenuti dalle staffe per montare a cavallo.7 

Ma tale ipotesi è stata apertamente confutata sempre da Masahiko Nakamoto, motivando il fatto che il noto esperto di Kobudō Shinken Taira (1897-1970) creò il kata Maesato no Tekkō (前里の手甲) per codificare alcune tecniche sparse usando la struttura del kata Jion da lui appresa a Tōkyō presso il dōjō di Funakoshi.8 Riguardo il termine Maesato, Takao Nakaya chiarisce che si riferisce all’autentico cognome di questo esperto, poichè (il più noto e nobile) Taira corrisponde al cognome materno.9

A questo punto, avendo chiarito le tesi principali sull’origine del kata Jion, è giunto il momento di indagare circa i documenti moderni e il significato del nome Jion.

Jion Significato

La prima informazione scritta sul significato del kata Jion compare nei due libri di Gichin Funakoshi pubblicati negli anni ’20.

A questo proposito, il Maestro li descrisse con i caratteri fonetici Jion (Ji-o-n, ジオン) mentre nella sua terza opera del 1935 utilizzò i già citati ideogrammi Ji-on (慈恩), il cui significato è ‘Misericordia e benevolenza’:10

I documenti moderni sul kata Jion

Un altro libro pubblicato nel 1934 che riporta il nome di questa forma proviene da Morinobu Itoman, il quale nel suo ampio elenco di kata troviamo registrato Jion con gli stessi caratteri fonetici utilizzati da Funakoshi.11


In disaccordo con il fondatore della scuola Shōtōkan, nelle due prime edizioni del libro redatto insieme a Genwa Nakasone e pubblicato negli anni ‘30, il fondatore del ramo cadetto dello Shitō-ryū Kenwa Mabuni riportò nella lista dei kata presente in questo testo il kata Jion descritto con gli stessi caratteri fonetici precedentemente utilizzati da Gichin Funakoshi.12 

Ma, in seguito, Kenwa Mabuni modificò per la propria scuola i caratteri del kata Jion (慈音) che in tal modo acquisì il significato di ‘Suono della misericordia’.13

A proposito del dibattito che si aprì sulla scrittura del nome Jion, negli anni immediatamente precedenti allo scoppio della Seconda guerra sino-giapponese, ulteriori scuole di Karate si schierarono per le interpretazioni sopra descritte dei due noti insegnanti.

Accadde così che, in Okinawa, Chōshin Chibana preferì per la scuola Shōrin-ryū i caratteri scelti da Funakoshi, mentre Hironori Ōtsuka scelse per la Wadō-ryū gli ideogrammi indicati da Kenwa Mabuni.


Sempre riguardo a questo argomento, alcuni ricercatori occidentali traducono diversamente gli ideogrammi del kata Jion. È il caso di Ermenegildo Camps e Santiago Cerezo che nella loro opera riportano ‘Suono del tempio’ o ‘Rumore del tempio’ (寺音).14 Inoltre, Rob Redmond riporta l’ulteriore traduzione di ‘Benevolenza del tempio’ (寺恩).15

Come possiamo notare, Gichin Funakoshi fu la prima persona che avvicinò il concetto di ‘tempio buddista’ (sì nella lingua di Pechino e ji in giapponese, 寺) al nome del kata Jion (慈恩).

In tal modo il Funakoshi Sensei poté riferirsi a Jion-ji (慈恩寺) come ad un “vecchio e famoso tempio buddista”. Partendo da questo presupposto, tenterò ora di spiegare il significato degli ideogrammi usati da Funakoshi per l’omonimo kata.

Riguardo il nuovo significato che il fondatore della scuola Shōtōkan diede al nome Jion, molti esperti ritengono che il Maestro avesse preso a prestito il primo kanji della parola ‘compassione, misericordia’ (jí-bēi nella lingua di Pechino e ji-hi in giapponese, 慈悲). Si tratta di un termine comune alle filosofie buddista e jainista, la cui radice proviene dalle lingue sánscrito e pali karuṇā (करुणा).

Le origini cinesi del tempio di Jion

Riguardo i templi buddisti che possiedono il nome Jion, ne esistono diversi in Cina come in Giappone.

Fra questi, il più antico è certamente il ‘Grande tempio di Jion’ (Dà Zí’ēn-sì nella lingua di Pechino, 大慈恩寺) situato nell’attuale Xī’ān – l’antica capitale imperiale Cháng’ān – oggi capoluogo della provincia cinese dello Shǎnxī.

Il complesso di Xī’ān coincide con un’immensa area di oltre 24 ettari, il cui tempio venne costruito nel 648 d.C. da Gāozōng (628-683), il terzo imperatore della dinastia Táng in memoria della bellissima madre Zhángsūn (601-636), morta prematuramente ma ricordata come “Civile, virtuosa, serena e sacra”(Wén-dé-shùn-shèng, 文德順聖).

A causa della sua reputazione, il tempio costruito in suo onore venne chiamato ‘Misericordia e benevolenza’ (Zí’ēn nella lingua di Pechino e Jion in giapponese, 慈恩), qualità annoverate al culto di una santa molto amata e deificata col nome di Guānyīn.

All’interno di questa vasta area troviamo anche la grande pagoda dell’Oca Selvaggia, costruita nel 652 per commemorare l’opera del monaco Xuán Zàng (602-664), che fu pellegrino in India per quindici anni.

Questo religioso è ricordato per esser ritornato in patria con numerose scritture, ritratti e reliquie che divennero patrimonio della nuova fede cinese.

A motivo di quest’impresa straordinaria, la sua avventura venne trasformata in un mito per poi trasformarsi nel soggetto del fortunato romanzo “Viaggio in Occidente”, pubblicato anonimo verso il 1590, ma divenuto una delle opere più conosciute ed amate della letteratura cinese per le grandi imprese di Sūn Wùkōng, la Scimmia Bianca.

Riguardo l’imprecisione del Maestro Funakoshi sul monastero di Jion e sul presunto santo occorre spezzare una lancia a suo favore poiché, nel momento in cui effettuò tale citazione a proposito dell’omonimo kata, la Seconda guerra sino-giapponese (1937-1945) era prossima allo scoppio.

La naturale conseguenza di quel particolare periodo è che gli eruditi giapponesi si trovavano nella situazione di dover spesso chinare il capo di fronte alla politica militarista del tempo che, dispregiando la cultura cinese, era restia a qualsiasi scambio culturale.

Sul territorio giapponese, invece, esistono solo piccoli santuari con il medesimo nome, sebbene sia interessante osservare che si rifanno alla spiritualità del più antico tempio cinese di Xī’ān. A questo proposito vorrei evidenziare che il tempio chiamato Jion-ji Kannon (慈恩寺観音) situato ad Iwatsuki, una città situata circa quaranta km a nord di Tōkyō, venne costruito nel 1942 in seguito al ritrovamento di una reliquia apicale del monaco Xuán Zàng a Nanchino, dalla cui città venne trafugato durante il conflitto.16 In merito al tempio Jion-ji (慈恩寺) di Azuchi-chō ad Ōmihachiman, circa cinquanta km a nord-est di Kyōto, non posso pronunciarmi perché non sono riuscito a risalire alla data di fondazione.

A conclusione di questo paragrafo, la cosa più interessante da notare è che, grazie all’esistenza di un documento e una stele trovati nel monastero buddista di Shàolín dell’Hénán, questa setta cinese divenne una delle più note grazie al raggiungimento di ben undici comunità religiose diffuse in varie province cinesi, sebbene non tutte operanti contemporaneamente.17 Proprio una di queste comunità Shàolín trovò sede nell’antica capitale imperiale Cháng’ān, l’attuale Xī’ān, oggi capoluogo della provincia cinese dello Shǎnxī.

Le principali caratteristiche tecniche del kata Jion

Dopo aver scoperte le radici di Jitte e Ji’in – dai quali proviene Jion – vorrei spiegare in quest’ultimo paragrafo alcune peculiarità tecniche di questo kata monastico, citando le parole di Gichin Funakoshi che, a proposito delle caratteristiche generali dei kata Shōrei (JionJitteTekki ed Hangetsu) nel suo libro del 1935 affermò:

I seguenti kata appartengono alla scuola Shōrei, ed i movimenti sono a volte pesanti in paragone a quelli della scuola Shōrin, ma la posizione del corpo è molto audace. Essi offrono un buon allenamento fisico, sebbene siano difficili per i principianti”.18

Specificatamente alla versione Shōtōkan JKA di Jion, Masatoshi Nakayama aggiunse:


Questo kata esprime un’armonia interiore perfetta con quella attribuita a Buddha, ed i suoi maestosi movimenti celano uno spirito indomabile. Non vi sono tecniche particolarmente difficili, ma il kata si rivela eccellente per padroneggiare i movimenti di rotazione ed i cambi di direzione. Il corretto impiego delle tecniche e delle posizioni appreso negli Heian e nei Tekki è qui indispensabile per i frequenti cambi di tempo, e per la difficoltà d’esecuzione delle tecniche di gambe e di braccia simultanee durante i cambiamenti di direzione”.19

Dalle parole di Nakayama Sensei possiamo dedurre che il kata Jion introduce le tecniche di un’antica scuola di combattimento, il cui principale scopo è incentrato nel controllo dell’avversario, ovvero sul come ottenere l’abilità di disarmare fisicamente e psicologicamente un aggressore.

In comune ai kata Jitte e Ji’in, chi intende perfezionare questo kata deve certamente allenare una grande forza fisica, ma mediandola con un alto livello di fluidità unito ad altrettanta serenità che non richiede eguali in altri stili.

Non si tratta di continuare a difendersi nell’intento di preparare un attacco: semmai di accogliere ed inglobare le tecniche altrui, esprimendo l’armonia interiore attribuita al Buddha.

Chi ama la violenza non è fatto per questo stile di combattimento: la continua sollecitazione di avanzamento verso l’avversario manifestato nell’intero stile ha lo scopo di bloccare le azioni altrui sul nascere, togliendo lo spazio necessario per continuare l’attacco.

Dunque, la coltivazione di questo atteggiamento crea nel praticante la sensazione di forgiare tutto se stesso con un concetto ben espresso dalla locuzione ‘pugno di ferro in guanto di velluto’.

La forza del metallo è simboleggiata dal pugno presente nel saluto iniziale, mentre il velluto sottintende al profondo atteggiamento di pace interiore espresso dalla mano aperta che ingloba la mano serrata a pugno.

Tra gli antichi Maestri che si specializzarono nel kata Jion, il più noto è certamente Chōmo Hanashiro (1869-1945), il quale è soprattutto ricordato per l’interpretazione di questa forma inserita nel capolavoro di Genwa Nakasone.20

A questo proposito, si ritiene che Hanashiro Sensei abbia trasmesso il kata Jion senza variazioni all’interno della sua scuola Shuri ken al suo continuatore Heihatiro Okada (1896-1983).

Inoltre, è interessante effettuare uno sguardo sinottico su questa versione con quella anteriore ma già modernizzata da Gichin Funakoshi pubblicata nei suoi libri del 1925 e nel 1935.21

Con molte probabilità, un altrettanto abile insegnante in tutti e tre i kata monastici (Jion, Jitte e Ji’in) fu senza ombra di dubbio Chōshin Chibana. A proposito di questo esperto, alcuni ricercatori ritengono che non conoscesse questi kata per il solo motivo che non li insegnò mai pubblicamente, ma essi si sbagliano.

Infatti, se il coevo Kenwa Mabuni conosceva tutte e tre le forme di Itosu, Chibana Sensei che era considerato il ‘maggiore’ o ‘più anziano’ (senpai, 先輩) fra gli allievi di seconda generazione di Itosu, doveva conoscerle per forza. Inoltre, come testimoniato in seguito dai suoi principali allievi (Yūchoku Higa, Katsuya Miyahira e Shūgorō Nakazato), Chibana puntava più sulla sostanza e – rispetto a Mabuni ed a Funakoshi – aveva la consuetudine di non trasmettere ogni kata che conosceva indistintamente a tutti, né, tanto meno, risulta che abbia mai creato alcuna versione personale.

Prima di concludere, desidero evidenziare che il metodo di combattimento riferito a Jitte Ji’in (e quindi anche al kata Jion che ne costituisce la sintesi) proviene da un generalizzata ‘Boxe del monaco’ che ho scelto di trattare come conclusione di queste tre forme-sorelle e perciò all’interno delle pagine dedicate al kata Ji’in-Shōkyō.

A loro volta, i movimenti che troviamo nei kata Jitte e Ji’in provengono anche dalle antiche Boxe della gru e dell’orso. Per i connessi approfondimenti relativi allo stile di combattimento della gru ed alla sua simbologia rimando al capitolo dedicato ai kata Chintō-Gangaku del mio libro, mentre per quelli inerenti allo stile dell’orso ho ritenuto opportuno trattarli all’interno del capitolo relativo ai kata Jitte-Jūtte.

Note

Il presente articolo costituisce una sintesi dell’omonimo capitolo presente nel libro “Il sistema stilistico Shōtōkan” di Massimo Braglia.

  1. Rispettivamente, il titolo dei tre articoli pubblicati il 17-18-19 gennaio 1914 sul quotidiano Ryūkyū Shinpō e redatti da Gichin Funakoshi sono: “Okinawa no Bugi” (Tecniche marziali di Okinawa), “Tōde no Ryugi” (Stili di Karate) e “Kokoroe” (Conoscenza / informazioni), tradotto da Patrick & Yuriko McCharty nel già citato “Gichin Funakoshi, Tanpenshu” (trad. “Untold stories”, 2004).
  2. A proposito di quest’affermazione, Takao Nakaya in “Karate-dō: History and Philosophy”, 2^ ed. (2011) aggiunge che il cognome Gusukuma può anche essere letto Shiroma – l’insegnante di Tomari del Maestro Ankō Itosu – e che Kanagusuku può anche essere letto Kinjō. Inoltre, Nakaya Sensei aggiunge che i nomi completi degli altri esperti sono: Kōsaku Matsumora, Kōkan Oyadomari, Yamada Gikei, Bokunin Nakazato, Gikei Yamazato e Kame Toguchi.
  3. Fernando P. Câmara “Tomari-Te: The Place of the Old Tode”.
  4. Il nome giapponese Shōrin-ji kenpō coincide nella lingua di Pechino con Shàolín-sì quánfà.
  5. Leslie Graham, comunicazione pers.
  6. Masahiko Nakamoto, “Okinawa Traditional Kobudo: Its Introduction and the Karate Kobudo masters of Shurite” (2006), trad. Di Miguel Da Luz (2008).
  7. Tsukuo Iwai, “Koden Ryūkyū Tōde-jutsu” (1992).
  8. Masahiko Nakamoto, “Okinawa Kobudō” (2006).
  9. Takao Nakaya, “Karate-do: Hystory and Philosophy” (2^ ed. 2011).
  10. Gichin Funakoshi, “Karate-dō Kyōhan” (1935).
  11. Morinobu Itoman, “Tōde jutsu no Kenkyu” (1938).
  12. Genwa Nakasone e Kenwa Mabuni, “Kōbō Kenpō Karate-dō Nyūmon” (1935).
  13. Come possiamo notare, il primo dei due ideogrammi relativi al nome Jion della scuola Shitō è comune a quello precedentemente scelto da Funakoshi per lo stesso kata. Colgo l’occasione per informare che alcune scuole Shitō-ryū traducono erroneamente il significato di Jion con ‘Suono del tempio’.
  14. Hermenegildo Camps e Santiago Cerezo, “Estudio técnico comparado de los katas de Karate” (2005).
  15. Rob Redmond, “Kata: The Folk Dances of Shotokan” (2006).
  16. A proposito del significato di Kannon (観音) che compare nel titolo del monastero, desidero chiarire che si riferisce a una divinità indiana misericordiosa e che, curiosamente, il secondo kanji del suo nome (on, 音), ‘suono’, coincide con quello scelto da Kenwa Mabuni per il kata Jion (慈音).
  17. Vedi la mappa degli undici monasteri Shàolín a pag. 59 del mio libro “Il sistema stilistico Shōtōkan”. Inoltre, vedi anche l’opera di Stefano Dalla Vecchia “Shaolin: il tempio dei monaci guerrieri” (2009).
  18. Gichin Funakoshi, opera citata.
  19. Masatoshi Nakayama, “Best Karate, Vol. 8: Gankaku, Jion” (1981).
  20. Genwa Nakasone “Karate-dō Taikan” (lett. “Introduzione al Karate-dō”, 1938).
  21. Gichin Funakoshi, “Rentan Goshin Tōde-jutsu” (1925) e “Karate-dō Kyōhan” (1935).
 

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