Sì, lo so che conoscere il significato delle parole Giapponesi non fa il Karateka; che praticare Karate non include, obbligatoriamente, parlare o capire le terminologie nipponiche.
Ma credo che nessun calciatore sia acerbo dalle traduzioni dei termini tecnici del suo sport: corner, goal, cross, penalty, per dirne solo alcune.
Ogni disciplina utilizza terminologie tecniche più o meno complesse e più o meno fedeli all’origine in funzione del paese di derivazione.
Quindi nella Boxe si parla inglese, nella Scherma francese, nel Football inglese, nella Danza francese, nel Judo e nel Karate si parla Giapponese. Non a caso, abbiamo già visto il significato dei colori nella cultura giapponese.

Pochi giorni fa, a cena con un gruppo di genitori (non praticanti) di karateka del mio club, sono rimasto piacevolmente sorpreso nel sentire da dei “civili” termini quali:
“Hai visto che bel mawashi geri?!”
“[…] quando ha messo Ippon poi…”.
Le terminologie tecniche sono indispensabili dialogare meglio e più efficacemente.
Adesso mi dirai: “Va bene Leonardo, ma la lingua italiana non permette di descrivere le stesse tecniche con termini appropriati?”
Certamente! Non è però sempre semplice usare perifrasi per descrivere qualcosa che assume in un solo termine quel significato tecnico specifico.
Pensa a: Pugno contrario alla gamba avanzata –> Gyaku zuki.
Con i principianti si utilizzano spesso entrambe le modalità: descrizione in italiano (a volte più complicata), termine tecnico Giapponese e poi visione della tecnica.
In questo caso sarà l’aspetto visivo a essere determinante. Ma piano piano, alcuni termini diventeranno così di abitudine da semplificare il tutto.
Altro aspetto è quello del fascino dello stranierismo. Sicuramente respirare un aria orientale a iniziare dal saluto, dall’etichetta, dall’abbigliamento con il Karate-gi e non ultimo l’uso dei termini, porta con sé un fascino del gergo karateka, del gergo del mestiere.
Il sentirsi parte di qualcosa di comprensibile solo da chi ne fa parte.

Se spesso l’assimilazione del nome straniero (giapponese) è solo la comprensione del termine associato ad una tecnica – rappresentabile mentalmente come schema motorio – nel caso del Karate, e di tutte le arti Giapponesi o Cinesi, il termine finisce non di rado per assume traduzioni non proprio consone, perdendo tra l’altro molto del suo spirito.
In termini pratici la traduzione del termine diventa meno importante del significato tecnico che assume. Ma conoscerla ti porterà ad un livello successivo della comprensione del tuo Karate.
Pensa al Manji Uke il cui significato è Ricevere (Uke) [e non parata] con le mani a forma di Manji.
Manji è una svastica giapponese, che proviene da una simbologia buddista indiana, che non ha nessun riferimento con la simbologia nazista – che ha la forma di una croce con uncini.

Quindi, in sostanaza, il Manji Uke è Ricevere con le mani a forma di svastica.
Se dovessi solo spiegarla a livello fisico potrei dire che il Manji Uke è quella specifica tecnica a due mani dove una è in posizione distesa davanti a me e l’altra piegata dietro di me.
Ma quanto veramente si apprende così lo spirito della forma? Ben poco.
Se per propria cultura e passione per il Giappone sei interessato/a ad approfondire la lingua, ti consiglio di farlo seriamente con un corso adeguato.
Se invece non vuoi diventare esperti del Nihongo (Così si chiama la lingua giapponese in Giappone) ma ti piacerebbe comunque districarti tra alcuni significati fondamentali delle parole giapponesi nel Karate, non ti resta che continuare a leggere!
Più che creare un glossario utile nel momento del bisogno, ma poco utile ai fini della memorizzazione del significato, voglio sviscerare 15 termini non solo nella sterile traduzione ma anche nei perché della scelta del termine.
Iniziamo con le Parole Giapponesi nei Principali Stili di Karate

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Shito Ryu 糸東流
Ryu vuol dire scuola. Ricodalo perché ritornerà enon lo ripeterò nelle prossime apparizioni ;).
Scuola intesa come ramo, forma, modo, sistema, usato qui nel senso di ryūha (流派, una scuola o una scuola di pensiero).
Shito, Il fondatore dello Shito, il maestro Mabuni Kenwa ha composto il nome per il suo nuovo stile dal primo carattere kanji dei nomi dei suoi due insegnanti principali, Itosu 糸洲 e Higaonna 東恩納 (chiamato anche Higashionna ).
Perché allora non si chiama ITO HI? perchè i kanji si leggono in modo diverso e non univoco in funzione del loro uso:
- 糸 Shi o Ito [Go-on: し (shi, Jōyō), Kun: いと (ito, 糸, Jōyō)]
- 東 Higashi o To [Kan-on: とう (tō, Jōyō), Kun: ひがし (higashi, 東, Jōyō)]
Goju Ryu 剛柔流
Goju è l’insieme di due kanji che significano rispettivamente Duro e Morbido, che sono i due aspeti caratteristici dello stile.
Nel Goju Ryu coesistono combinazione di tecniche “dure e morbide”. Il termine Gō, si riferisce a tecniche a mano chiusa con attacchi lineari e diritti; il termine Jū, indica tecniche di mano aperta e movimenti circolari, il tutto enfatizzato data alla respirazione corretta.
Il suo fondatore è Miyagi Chojun.
Shotokan ryu 松濤館流
Scuola fondata dal Maestro Funakoshi Gichin che al momento di attribuire un nome alla sua scuola sceglie il termine Shoto che utilizzava da giovane per autografare le sue calligrafie poetiche.
Shoto è traducibile come il Onda degli alberi di pino.
- 松 Albero di Pino 濤 Onda, Fluttuare.
- Kan 館 significa casa, alloggio, dimora.
Quindi nella poetica interpretazione del Maestro fondatore lo Shotokan Ryu è la casa dove gli alberi di pino fluttuano, ondeggiano. Sicuramente molto romantico come nome ma con poche attinenze ai contenuti dello stile.
Wado Ryu 和道流
Stile fondato nel 1934 dal Maestro Hironori Ōtsuka.
Wadoryu significa Scuola della Via (do道) della Pace/Armonia (wa和)
Il Kanji Wa può significare anche somma unione o Giapponese. Questa accezione di significato potrebbe essere stata utilizzata per il rappresentativo momento per lo stile che aveva origini sia okinawensi che nipponiche. Il fondatore aveva notevole esperienza nel Ju jitsu Shindō Yōshin-ryū e dopo la pratica con il Maestro Funakoshi dello stile Shotokan fuse le sue conoscenze in un stile al quale diede il nome di Shinshu Wadō-ryū Karate-Jūjutsu che poi diverrà Wado Ryu.
Il significato armonia, inteso come cedevolezza come il riconoscimento che il cedimento a volte è più efficace della forza bruta è uno dei principi elementari del Jūjutsu.
Kyokushin kai 極真会
Fondato dal Coreano-Giapponese Masutatsu Oyama è uno stile di derivazione Goju e Shoto e prende il nome di Kyokushin che in giapponese significa “l’ultima verità”.
Kyokushin è radicato in una filosofia di auto-miglioramento, disciplina e duro allenamento. Il suo stile di contatto completo ha avuto un appeal internazionale e oggi vede diverse scuole che con nomi diversi portano avanti i principi del Maestro.
Kyokushinkai significa letteralmente “Associazione per l’estrema verità”
- Kyoku 極 significa: estremo, anche zenit, polo nord.
- Shin 真 significa: verità , realtà , genuinità, naturale , incontaminato, completo , interamente
- Kai 会 significa: incontro, società, associazione.
Uechi Ryu 上地流
Uechi Ryu era chiamato originariamente Pangai-noon che si traduce come “mezzo-duro, semi-morbido”, prende il nome del fondatore Uechi Kanbun che dopo approfondimenti della sua pratica in Cina lo rinomina con il suo nome. Quindi la scuola di Uechi è la traduzione dello stile, ed è l’unico che assume così manifestamente il nome del fondatore all’interno del nome dello stile.
Passiamo adesso alle Parole Giapponesi più usate nei Dojo:
Tatami 疊
Tatami lo conoscono tutti come materassina o pavimento giapponese in paglia di riso sul quale si praticano le arti marziali e, tradizionalmente, usato come pavimento di casa.

Composto da pannelli rettangolari modulari, costruiti con un telaio di legno o altri materiali rivestito da paglia intrecciata e pressata. Oggi si utilizza lo stesso termine per identificare i puzzle in gomma utilizzati nelle moderne discipline marziali.
Le dimensioni sono 2 sun di spessore per 3×6 shaku di area: lo shaku (尺) è una unità di misura tradizionale giapponese pari a circa 303 mm, il sun (寸) la sua decima parte da 30.3 mm, quindi le misure del tatami corrispondono a circa 60×910×1820 mm (area: 1,6562 m2), cioè orientativamente allo spazio occupato da una persona sdraiata. Le stanze si misuravano tradizionalmente in numero di tatami.
I tatami solitamente sono “montati” a coppie di 2 in una direzione e 2 nella direzione perpendicolare.
Tatami 疊 significa anche ripetere, duplicare, ripetitivo.
I moderni, ma non modernissimi, tatami del Judo e del karate avevano le stesse dimensioni ma diversa composizione, con un rivestimento plastico che li rendeva più igienici degli originali in paglia.
Kumite 組手

Kumite vuol dire “Incontro delle mani”
Iniziamo dall’etimologia della parola:
Kumite si compone di due termini:
- 組 Kumi ovvero “mettere insieme”
- 手 te, cioè “mano”.
Kumite si può quindi interpretare come “l’incontro delle mani” che si ha fra due avversari che si fronteggiano, con l’obiettivo di accrescimento reciproco nella pratica del Karate, attraverso l’apprendimento delle tecniche di attacco e di difesa.
È molto probabile che la definizione risalga anche alle tipologie di combattimento all’origine del To-de (mano cinese), con le esercitazioni a coppie come muchimi-di, dove le mani “appiccicate” fanno pensare ad uno scambio di mani.
Kata型
Il termine Kata è composto dal kanji 型 o 形, e viene tradotto come forma, modello, tipo, motivo.
È proprio il significato di forma, modello, che rende l’idea del Kata. Dallo stesso modello o dalla stessa forma (pensiamo ad uno stampo) nascono copie identiche.
Quindi Kata è un modello di gesti che ripetuti come sono stati ideati permette la replica del gesto iniziale (originale). Di conseguenza la pratica permette la trasmissione di un gesto o di una tattica o strategia attraverso l’esecuzione ripetuta come nel modello originale (kata).
Kihon 基本
Kihon è composto da due kanji 基本 Ki e Hon, letteralmente si traduce come basilare, fondamentali, elementare, standard.
Quindi, riproponendolo nel mondo marziale, si tratta di gesti di base ma fondamentali per la pratica avanzata. Senza le fondamenta non è possibile praticare qualcosa di complesso come un’arte marziale quale il Karate.
Tutti sappiamo che un albero con delle buone radici ha maggiore resistenza e possibilità di crescita.
Nel mondo sportivo i fondamentali costituiscono le prime tecniche che, a livello didattico e formativo, devono essere acquisite da un praticante, eventualmente insieme alle regole e alle norme comportamentali di base, per poter svolgere una data attività.

Tsuki突 き
Tsuki (突 き) deriva dal verbo tsuku (突 く) , che significa “spingere”. E molti dei pugni del Karate hanno questa desinenza.
Insieme alla definizione del tipo di pugni si scrive Zuki. Allora diventa Oi zuki, Gyaku zuki, Kizami zuki etc…
Keri 蹴り
Keri significa calcio.

Geri si utilizza insieme ad altre parole che lo precedono definendolo: Mawashi geri, Mae geri etc.
Attenzione ad utilizzarlo da solo perché Geri in giapponese significa diarrea.
Tachi 立ち
Tachi sono le posizioni ed anche in questo caso la parola assume la forma di dachi se preceduta da un’altro nome: Zenkutsu dachi, Neko ashi dachi, etc…
I Kanji che compongono la parola significano: posizione, in piedi, alzarsi.
Yoi 用意
Yoi lo sentiamo spesso durante una lezione di Karate e significa generalmente “pronti”.
Il kanji è composto da due simboli: 用意 che significano: disposizione, prepararsi, preparazione.
Si utilizza solitamente non solo come comando di preparazione posturale prima di una partenza (con una tecnica o con un combattimento o kata) ma soprattutto come attenzione mentale, predisposizione a quello che verrà richiesto.
Bonus: Karate – gi/ka/do 空手
Il termine extra della raccolta non può essere che Karate, nelle sue principali declinazioni.
La parola Karate è composta, nella versione attuale, dai due kanji 空 kara e 手 te che significano Vuoto e Mano. Originariamente la stessa pronuncia era scritta con i kanji To-de 唐手 che significavano Mano Cinese.
La storia del cambiamento la potete approfondire nell’articolo dedicato alla Storia dei Karate.
I suffissi spostano l’attenzione su altrettante parole di uso quotidiano per il praticante:
- GI 着 significa vestito e quindi il Karategi è il vestito del karateka. Non lo chiamare Kimono per favore!
- KA 家 colui che pratica (trad.: persona che fa quella cosa). Quindi il Karateka è il praticante di karate. Se sono molti non gli chiamate Karatekas, non so perchè ma spesso si trova questo obbrobrio. In Giapponese non serve la S in fondo per farlo diventare plurale.
- DO 道 Tradotto come la Via assume il significato di continua ricerca. La via che devo seguire per raggiungere lo scopo dell’apprendimento del Karate. Utilizzato anche nel Buddismo per indicare la Via di ricerca del Nirvana, dell’illuminazione. Si trova in moltissime parole come Ju-DO, Aiki-DO, Kyu-DO, Sho-DO…
Bellissimo articolo
Grazie Chiara, continua a seguirci!
“Se sono molti non gli chiamate Karatekas”
Osservazione giustissima, ma anche quel GLI non si può vedere. Va sostituito con LI.
Comunque ottimo articolo. Molto utile. Bravi!!